
Lacrime di riso della Valtidone al passito di Malvasia di Candia Aromatica
Dolci a base di riso e passito di Malvasia di Candia Aromatica creati per il Valtidone Wine Festival
Cari amici delle Tre Civette oggi, con enorme soddisfazione io e le Civette vi dobbiamo comunicare che facendo un salto in libreria (o cliccando sui siti online) è disponibile il fantasy GALA COX E IL MISTERO DEI VIAGGI NEL TEMPO autore Raffaella Fenoglio, editore Fanucci.
Ebbene sì, lo avrei scritto io, anche se le Civette diranno di essere loro le vere autrici, ma insomma si sa che vogliono sempre un po’ primeggiare.
Cosa vi posso dire sul libro? Be’ a me piace, (!bella scoperta) mi è piaciuto scriverlo così come spero tenga buona compagnia a voi quando lo leggerete.
Di seguito riporto i dettagli del volume, la quarta di copertina e il primo capitolo…(mi sento tanto la Signora Amazon in questo momento) e incrociamo dita e penne!
GALA COX E IL MISTERO DEI VIAGGI NEL TEMPO
Autore: Raffaella Fenoglio
Editore: Fanucci
Pagine: 496
Prezzo € 14,90
Ebook € 4,99
QUARTA DI COPERTINA
Gala Cox Gloucestershire ha quattordici anni e frequenta il liceo artistico. Ha un carattere indeciso, un’intelligenza fuori dal comune e la passione per le materie tecniche. E non sta affrontando un bel momento: ha appena perso la sua migliore amica, Nadia, in un terribile incidente dai risvolti misteriosi e il suo amatissimo papà se n’è andato di casa senza una ragione apparente.
Ora Gala vive con la mamma Orietta, medium scostante e autoritaria, e alcuni spiriti vaganti tra i quali l’indiano Matunaaga e la monaca benedettina Ildegarda di Bingen.
Gala crede di sapere tutto sull’aldilà, fino a quando non inizia a frugare nello studio del padre alla ricerca di una traccia che le permetta di ritrovarlo. Qui, una scoperta casuale le aprirà le porte di un mondo prima sconosciuto, catapultandola in una realtà parallela e pericolosa.
In un graduale e inesorabile susseguirsi di avvenimenti e scoperte, Gala vedrà crollare le proprie certezze una ad una. L’amore per le persone a lei care la spingerà a intraprendere una lotta che la renderà una ragazza più forte, molto più di quanto abbia mai potuto immaginare.
La storia di un’adolescente quasi normale, che tra appassionanti viaggi nel tempo e dialoghi con gli spiriti, diventa una riflessione sulla vita e su cosa ci attende nel nostro futuro.
PRIMO CAPITOLO
Lanciai il libro di Storia nell’armadio. Cadde dal ripiano e s’infilò nello scatolone dei vecchi libri appoggiato sul fondo. Quella scatola era lì da mesi. Non ci avevo più fatto caso.
Mi chinai per recuperarlo e scorsi il verde pallido del diario dell’anno precedente. Il cuore mi si fermò per un attimo.
Lo avevo comprato quando amavo la scuola. Era l’estate di due anni prima. Faceva caldo, in cartoleria c’era l’aria condizionata. Mi ero avvicinata a una catasta di diari colorati: cuccioli, Barbie, Comix, Hello Kitty…
L’odore dell’inchiostro aleggiava intorno a me come una nuvola. Avevo scartato quelli con le barzellette, quelli troppo piccoli, quelli con le parolacce, quelli spessi. Era rimasto poco o niente. Poi, eccolo lì, di un terribile color verdino. Minuto, scarno, essenziale. Lo comprai.
Tornata a casa avevo scritto GALA COX GLOUCESTERSHIRE sulla copertina, col pennarello blu fluorescente, e TERZA MEDIA col glitter. Avevo ammirato soddisfatta la mia opera. Quel diario mi avrebbe accompagnato fino alle superiori.
«Una buona partenza è fondamentale per un anno coi fiocchi!»
Era il ritornello di Nadia. Era solo lo scorso anno, ed era prima.
Ero ancora una ragazzina, ma già troppi prima segnavano la mia vita.
Ora il diario stava lì. Abbandonato, in mezzo a vecchi libri di testo. Allungai la mano verso la scatola e lo afferrai. Odorava di gomma pane.
Aprii la prima pagina. Materie I° semestre: Letteratura Inglese, Educazione Allo Spirito Libero, Approfondimenti Multiculturali, Tutorial Sportivi, Teen’s Philology… c’era qualcosa di magico nell’organizzare le giornate ai Pioppi.
Un soffio di vento mi fece ondeggiare i capelli. Mi voltai, con le dita gelate, ma sapevo chi mi sarei trovata davanti.
Era Matunaaga, infatti. L’onnipresente Matunaaga.
«Signorina Gala, signora Orietta dice lei aspetta per cena.»
L’indiano aveva dissolto i miei pensieri. Mi resi conto di essere lì, in camera mia, immersa nel mio adesso. Di non avere alcuna possibilità di rifugiarmi altrove.
«Io…» borbottai confusamente.
No, non si poteva tornare indietro.
Matunaaga abbassò lo sguardo sul diario che stringevo tra le mani. Scosse la testa, lo prese e lo rimise nella scatola. Chiuse l’armadio.
«Cosa dire a signora Orietta? Scendere subito?»
Annuii.
Andai dritta in cucina senza fiatare e sedetti al tavolo. Cercai di ingoiare ogni cosa contenuta nel mio piatto. Al più presto. Masticavo e mandavo giù, meccanicamente.
Non era una cena delle migliori. Verdura al vapore. Uova sode. Pane integrale. Il dessert prevedeva frutta cotta. Involontariamente emisi un leggero gemito di disperazione.
«Non farai mica storie?» sbottò Felicia.
«No, no. La mangio.» risposi. Tentai di trovare gradevole la mela raggrinzita che avevo davanti, ma la gola mi si stava chiudendo. Spinsi la mano verso il basso, il cucchiaio non incontrò quasi resistenza. Una cosa gialliccia e senza forma invase la mia ciotola. Ne portai un po’ alla bocca. Rabbrividii.
Mia madre se ne accorse, esalò uno dei suoi pfui! Poi ingoiò una cucchiaiata di mela cotta, sgranò gli occhi e la risputò. «È immangiabile! Felicia, falla sparire!»
Il suo piattino venne portato via dal tavolo, all’istante.
«C’era del tiramisù nel frigo, o sbaglio?» disse.
«Sì, signora Orietta, glielo servo subito.» rispose Felicia.
Per fortuna io avevo finito. Mi alzai. Mia madre mi bloccò per un braccio. «Gala, prima di salire in camera porta via la spazzatura.»
«Ok, ‘notte mamma.»
Trovai un paio di sacchetti colorati appoggiati alla porta. Infilai il giaccone, li presi e uscii.
Girare di notte nella mia zona era più sicuro che stare in Piazza del Comune a mezzogiorno. Vivevo nel Paradiso dei fifoni: ovunque c’erano telecamere che ti spiavano. Un guardiano ti salutava quando entravi o uscivi dal quartiere. Segnava gli spostamenti su un computer collegato alle telecamere. Mai sentito parlare di furti nelle case o di scippi alle vecchiette.
Arrivai fino in fondo alla strada, fino alla casetta verde dei rifiuti. Aprii la porta e infilai i sacchi seguendo le indicazioni riportate sui cartelli. Carta. Vetro. Indifferenziata. Girai i tacchi e me ne tornai a casa senza incontrare un’anima.
Era proprio una zona noiosa.
La cosa migliore era la casa più vecchia del quartiere. Una villa di quattro piani, grande come un isolato. Nel suo giardino decine di salici piangenti ondeggiavano al vento tutto il giorno, anche quando apparentemente non ce n’era. Era ricoperta di scura pietra lavica, e dal tetto spuntava un galletto segnavento. Al portone troneggiava un grosso battacchio luccicante a forma di testa di leone. I bambini che ci passavano davanti rimanevano imbambolati, con gli occhi sbarrati. Le madri li dovevano tirar via con la forza.
Era casa mia.
Rientrai dal retro, salii in camera e mi buttai sul letto senza forze.
Toc toc.
Mi tappai le orecchie con le mani. Chiunque fosse, sperai che si levasse di torno.
Toc toc.
Il faccione di Felicia spuntò dalla porta. «Posso?» chiese.
Senza aspettare la risposta entrò e posò sulla scrivania la cartella con i conti di casa. Toccava sempre a me occuparmi delle bollette. Di sicuro mia madre neanche immaginava che si dovessero pagare. E papà….
«In settimana scade l’acqua, il riscaldamento, e Sky. Qui ci sono i soldi.»
Mi alzai dal letto. Felicia estrasse quattrocentocinquanta euro dalla tasca. Presi i bollettini, feci un rapido calcolo. Su quello dell’acqua c’era segnato un importo di quarantun euro. Centoventitrè per Sky. Trecentosette per il gas. Felicia non era un fulmine di matematica.
«Non bastano.» mormorai.
«Cosa?»
«I soldi sono pochi.»
«Davvero? Eppure ho fatto i conti due volte.» sbuffò «Be’ quello che manca lo vai a prendere in banca. E poi mi devi ricaricare la prepagata che uso per la spesa.»
«Ok.»
L’ufficio postale era vicino alla fermata dell’autobus. In banca invece ci sarei dovuta andare apposta. Magari venerdì, uscendo un po’ prima da scuola.
«Non te ne dimenticare Gala. Ah! E devi prelevare dei soldi anche per il tecnico della lavastoviglie.»
«Quanto serve?»
Alzò gli occhi al cielo «Madre de Dios che ragazza sciocca che sei! Non lo so! Io sono solo una domestica, mica riparo lavastoviglie!»
Chiuse la zip del piumino e si girò verso la porta. Lanciò un’occhiata orrenda alla mia colonia di Aphaenogaster.
«Che schifo! Come tua madre ti permetta di tenere quella roba…»
Mimò il segno della croce e andò via scuotendo la testa.
Guardai la mia colonia. A me pareva bellissima. Cosa facevano di male le mie Aphaenogaster Spinosa? Erano formiche forti, lavoratrici, poco rompi scatole. Dalla piccola colonia piazzata in un formicaio verticale era nata una vera e grande tribù. Le avevo traslocate tre volte, fino ad arrivare a quel magnifico formicaio orizzontale in gasbeston.
Allungai il collo, controllai cosa era successo al ragno.
Quella mattina nei bagni della scuola avevo trovato un ragno peloso di media grandezza. Me lo ero infilato in tasca. Sapevo che le Aphaenogaster gradivano mangiare insetti, più di qualsiasi altro alimento. Appena tornata a casa glielo avevo piazzato nello spazio davanti al formicaio. Nel pomeriggio avevo seguito la loro attività passo passo. Le avevo filmate per centoventitré minuti filati. Intanto tracciavo grafici di flusso sui loro movimenti.
Le operaie si organizzavano a gruppi sempre più grossi per tirare dentro il ragno. Da principio provavano a farlo entrare attraverso la stretta apertura d’ingresso. Niente da fare. Troppo grosso.
Verso sera le Aphaenogaster Spinosa avevano elaborato un’altra strategia. Spolparlo e portarlo dentro a pezzi. Gambe e mandibole del ragno stavano già nella stanza umida dove le larve si nutrivano da sole, sorvegliate dalle operaie.
In quel momento l’attività era ridotta a zero. Per le Aphaenogaster Spinosa era notte fonda. Osservai la zona dell’umido. Non ero soddisfatta di alcune stanze del formicaio, troppo poco profonde. Ma non sapevo come rimediare.
D’altronde avevo dovuto fare tutto da sola.
Prima, progettare un formicaio sarebbe stato diverso.
Prima, papà mi avrebbe dato una mano e quel dettaglio a lui non sarebbe sfuggito di certo. Non mi sarei dovuto preoccupare di nulla, prima. Lui era un fenomeno in quelle cose.
Già.
Accesi il video che avevo girato nel pomeriggio, osservai i grafici che avevo tracciato. A mezzanotte mi risvegliai con un torcicollo terrificante, piegata in due sulla sedia. Il filmato era finito da un pezzo. Sbadigliando mi diressi in bagno. Spalmai sul viso la crema combatti-brufoli. Emanava lo stesso odore del muschio del presepe. Infilai il pigiama.
Passando davanti alla camera di mia madre la sentii parlare al cellulare. La porta non era chiusa del tutto, una lama di luce filtrava dallo spiraglio.
«Stava terminando di scriverlo…» disse. Poi tacque. Riprese «…be’ sì, certo, prima di partire. Ora non so perché ti avesse chiesto quella cosa, ma io aspetterei… che lui torni certo… no, non so quando… ecco…»
Si stava mordicchiando il labbro, lo capii da come farfugliava.
Dopo poco aggiunse «Sì, ok… ciao, ciao.»
Silenzio.
Aveva chiuso la telefonata, poco dopo spense la luce.
Rimasi in piedi a riflettere, al buio. La crema dei brufoli mi si stava seccando sul viso, tirando la pelle in tutte le direzioni. Non ci voleva un genio per capire di chi stava parlando. Chi era partito, e chi non si sapeva quando sarebbe tornato.
Ovvio, mio padre.
Passai una notte agitata e nervosa. Tipico di quando c’era di mezzo papà. Sognai che le Aphaenogaster avevano trovato una via di fuga. Poi che la Tartaglia mi interrogava di Storia e non ricordavo un tubo sulle battaglie dei Sumeri.
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