Intervista a Filippo Venturi

Ho incontrato Filippo Venturi al Book Festival di Bordighera dello scorso agosto.

È la seconda volta che viene a Bordighera, nel 2018 avevo già presentato il suo libro “I tortellini muoiono in brodo” che è andato benissimo e difatti eccoci qui alla sua seconda fatica letteraria, “Gli spaghetti alla bolognese non esistono”.

La storia si svolge a Bologna e la fantomatica leggenda degli spaghetti alla bolognese, evocata nel libro, ricorre tra le pagine come richiesta da parte dei turisti e diventa protagonista in una scena molto divertente quando Zucchini, l’oste, deve rispondere ad un alto prelato tedesco, con il quale non vuole essere scortese, che con il ragù si mangiano le fettuccine all’uovo non gli spaghetti.

Oggetto di questo giallo è il furto dell’immagine della patrona di Bologna, la Madonna di San Luca, ed è popolato da personaggi simpatici, la narrazione è fresca, ben scandita, assolutamente piacevole. Ritorna il mood del primo libro, insomma, frizzante come un buon bicchiere di Lambrusco.

Filippo Venturi, al secolo Filo Ossola ma non vi spiego il perché, è una persona empatica che dialoga con il pubblico in modo accattivante ma senza ammiccamenti, ed è facile da intervistare perché non ha atteggiamenti ritrosi anche davanti a domande magari più insolite, perché, lo ammetto, uso torturare gli autori che malauguratamente mi capitano sotto tiro.

Oggi è in uscita: Clamoroso, la mia vita da immarcabile. La biografia di Gianmarco Pozzecco che Filippo Venturi ha aiutato nella stesura.

1. Raffaella: Buongiorno Filippo, qual è la  tua ricetta preferita, casalinga o che abitualmente metti nella carta del ristorante?

Filippo: La mia passione per la cucina inizia una mattina di tanti anni fa, osservando mia nonna preparare il ragù.

Da quel giorno tutto è cambiato. Conservo ancora il foglio ingiallito, che ne custodisce i segreti, ricordi appuntati con la calligrafia rotondeggiante di bambino. Per questo, forse sarò banale, ma le tagliatelle al ragù rappresentano per me il non plus ultra della cucina bolognese, il bilancino di precisione in grado di misurare la capacità di fare tradizione.

Anche i tortellini, eh. Ma le tagliatelle al ragù di più.  Da lì non si scappa. 

Devono essere spesse e larghe al punto giusto, come dice lo stesso Emilio Zucchini, più o meno 7 millimetri, ovvero la dodicimiladuecentosettantesima parte della Torre degli Asinelli. Il sugo deve essere di quel bel rosso intenso, deve lasciare il famoso “sole nel piatto”, per dare spazio al gran finale della scarpetta. Per ottenere questo, sono necessari due ingredienti fondamentali: il burro e il tempo.

Il ragù se ne frega dei ritmi frenetici degli anni Duemila. Lui vuole attenzione, cura, costanza. Non è che lo metti su e te ne vai. Il ragù è permaloso. Se se ne accorge si brucia. Devi stare lì con lui e coccolarlo. Regolare la fiamma a seconda delle fasi di cottura. Odori, burro e pancetta tritata; e poi il magro, il vino bianco, il brodo, la passata, il triplo concentrato: a ognuno il suo momento, il suo colore, il suo profumo, il suo sapore. Perché il ragù è un’emozione, non dimenticatelo mai. 

 2.Mi racconti qualcosa sulla biografia di Gianmmarco Pozzecco che uscirà a breve?

Il progetto della biografia di Gianmarco parte da lontano. Era il 2016 quando un nostro amico comune, Claudio Valdiserri detto il Clod, che vive a Formentera, mi dice che il Poz aveva questa idea da tempo, ma non riusciva a farla decollare.

“Sei tu la persona giusta, devo convincerlo”.

Sottolineo che a quei tempi non ero ancora autore Mondadori e in un certo senso la cosa poteva avere il suo peso. Voglio dire: non ero giornalista sportivo, non scrivevo per case editrici a distribuzione nazionale, insomma: chi cavolo ero ai suoi occhi? Mister nessuno. Però, in effetti, il Clod non aveva neanche tutti i torti. Sono un amante del basket sin da bambino, lui è sempre stato un mio idolo, sono fortitudino e, particolare da non sottovalutare, non so se bene o male, ma scrivo storie.

Morale della favola, mi porta a cena da lui, nella sua casa a Formentera, io ero là in vacanza con la famiglia. Ci conosciamo. Il giorno dopo iniziamo a frequentarci, io col mio registratorino, lui con la sua prorompente genuinità. Torno a Bologna dopo qualche giorno e gli mando il primo capitolo. Eravamo d’accordo così. Sapevo che mi avrebbe misurato lì. Mi giocavo tutto. Era la mia grande chance. E allora decido di azzardare. Faccio il Pozzecco e mi butto dentro senza paura. Lui legge e impazzisce e il resto è storia. Con i nostri alti e bassi, siamo andati avanti quattro anni, con oltre 100 ore di registrazione, e non so quanti chilometri macinati tra Zagabria, Sassari e Formentera. L’unico periodo in cui non abbiamo “lavorato” insieme è stato durante la sua permanenza a Bologna, come capo allenatore della Fortitudo, perché tra persone “non normali” funziona così. Il libro esce il 22 settembre ed è clamoroso come il suo titolo.

3.Come nascono i tuoi libri, mentre prendi le ordinazioni?

I miei libri nascono dall’ispirazione, che è colei che muove tutto. Ciò che distingue uno scrittore è avere qualcosa da raccontare. In questo, nell’elaborazione dell’idea, ma soprattutto nell’individuazione dei personaggi, le ordinazioni mi aiutano eccome! È la gente che fa le storie, che le vive, che le racconta, e io ho la fortuna di averla lì, la gente, ogni sera, un universo di idee, discorsi, aneddoti, umori, gesti, battute, tic, tutto a mia completa disposizione. La parte finale dell’agenda annuale delle prenotazioni, quella in cui sono presenti alcune pagine bianche, sono solitamente pieni di appunti, che scrivo al volo durante il servizio. Parafrasando Vasco, le canzoni sono come i sogni e a noi non resta che scriverle in fretta perché poi svaniscono. Già verso metà febbraio avrei bisogno di altro spazio, ma mica posso occupare i fogli del 31 dicembre! Ma quest’anno ho tutte le pagine intonse di marzo e aprile, e così, da inguaribile ottimista, ho trovato un lato positivo anche dal lock down… 

4.Riusciresti a vivere in un’altra città? 

Purtroppo non potrei vivere in nessun’altra città che non sia Bologna. Dico “purtroppo” perché so che è una cosa un po’ limitativa. Direi piuttosto provinciale. Mi sarebbe piaciuto viaggiare di più, fare più esperienze, soprattutto da studente, quando tutto era più semplice. Non l’ho mai fatto: troppi legami, troppe radici, forse troppe comodità, di sicuro troppo poco coraggio. Ma sono sereno e ormai il gioco è fatto. Ho le mie attività, la mia vita, i miei affetti, tutto è stabile. Non mi muoverò più e se proprio lo dovessi fare, una città vale l’altra, purché con la mia famiglia. Da solo non andrei da nessuna parte.  

Trama di: “Gli spaghetti alla bolognese non esistono” – Giallo culinario di Filippo Venturi

Emilio Zucchini, oste della Vecchia Bologna, sta affrontando una crisi proprio durante il servizio del venerdì sera, con la sala affollata di tutte le specie possibili di avventori, mentre Mirko Gandusio, sfigatissimo ex buttafuori, detto il Grande Gandhi, entra nel duomo di Bologna e ruba, senza troppo pensarci, la tavola di legno che ritrae la beata vergine, la Madonna di San Luca, simbolo della città. Sarà Emilio Zucchini, oste e detective, che si ritroverà a dipanare la matassa diviso tra le sue amicizie nella Curia e le conoscenze in Questura.

La biografia di Filippo Venturi recita:

Filippo Venturi(1972) gestisce una trattoria in centro a Bologna. Ha esordito nella narrativa nel 2010 per Pendragon, con cui ha pubblicato una raccolta di racconti e due romanzi. Per “la Repubblica” di Bologna ha tenuto dal 2016 la rubrica Dietro al banco, una sorta di Tripadvisor al contrario in cui è il ristoratore a recensire i clienti. Nel 2018 ha pubblicato per Mondadori la prima black comedy con l’oste-detective Emilio Zucchini

  •  Il tortellino muore nel brodo
  • Gli spaghetti alla bolognese non esistono.

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