Pappa al pomodoro con Andy Luotto

Pappa al pomodoro con Andy Luotto

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Cari cannibali, se dico Andy Luotto il vostro pensiero andrà sicuramente a un simpatico ragazzo barbuto pseudo arabo della premiata ditta Renzo Arbore & c. e alla sua laconica frase  buono, no buono.  Come sempre dietro a un personaggio c’è di più, ma dietro a Andy Luotto c’è una vera e propria sceneggiatura degna di una fiction in prima serata. E, sorpresa, c’è soprattutto un cuoco, ed Libroecco perché siamo andati a stanarlo. Andrè Paul Luotto il suo vero nome, nato in America e trasferitosi in Italia nel 1965 per fuggire al riformatorio, passava buona parte del suo tempo in cucina con la governante Maria Illuminati. Proprio grazie a lei  sempre tra i fornelli, tra ingredienti veramente buoni o davanti a una pentola dentro la quale scoppiettava una salsa profumata e golosa, Andy capì che voleva fare il cuoco.  L’ingrediente fondamentale? L’olio extra vergine di oliva, spina dorsale della dieta mediterranea e della sua cucina.  Ha scritto due libri che permettono di conoscerlo meglio: Faccia da chef (Anteprima Edizioni) e Padella Story (Reverdito Edizioni). Oggi lavora al neonato progetto di Luotto Factory con una squadra che è la stessa con cui apre il suo nuovo tempio della cucina nel cuore di Roma, all’interno del prestigioso palazzo Doria Pamphili: il Ristorante Là.

Cibo-cinema, connubio che affascina, sul set e soprattutto nel backstage, cosa ci puoi raccontare in proposito? 

Il ricordo migliore di cinema e cibo, anche se ce ne sono parecchi, è legato alle riprese del film “La tregua” per la regia di Francesco Rosi. Eravamo in Ucraina, dove si mangiava malissimo, così avevo  trasformato la mia camera da letto in un piccolo ristorantino dove davo da mangiare a non più di 5 persone al giorno. Ogni tanto ne venivano 6 o 7. Comunque smontavo le ante dell’armadio, avevo comprato un fornello a gas, avevo delle padelle, andavo a fare la spesa al mercato dei contadini. Facevo di tutto: i ravioli, gli agnolotti, la pasta, gli arrosti. La materia prima era eccelsa perché i contadini, come sempre in qualunque parte del mondo, sanno il fatto loro.

scena film La tregua

Sempre sul cinema, so che servi delle polpette speciali, legate a Sophia Loren e Marcello Mastroianni…

Delle polpette me ne sono innamorato, non so nello specifico come nascono. Al ristorante del Safa Palatino, vicino gli studi cinematografici, tra gli anni’ 60 e ‘70 c’erano le polpette di lesso. In origine le mangiavano i cuochi perché quando nei ristoranti si faceva il brodo, con la carne i cuochi preparavano le polpette, mica la buttavano. Spesso con un po’ di pane ammollato, a volte con la patata. Poi le friggevano e le mangiavano. Le polpette nascono lì.

In questo ristorante a Roma si dice, e l’ho visto anche io, che ne andavano golosi sia Marcello Mastroianni che Sophia Loren. Quando ho aperto il ristorante a Sutri ho messo le polpette nel menù. Sul menù c’era scritto “polpette di lesso” non ne andava via neanche una. Poi abbiamo avuto l’idea di mettere “ polpette di Sophia e Marcello”. Non sono più riuscito a levarle dal menù.

disegno menù polpette

Il marketing è tutto, non c’è nulla da fare. Qual è la tua ricetta preferita?

La mia ricetta preferita è lo spaghetto al pomodoro.

Un classico, direi! E il cliente più esigente?

Il cliente più esigente? Si chiama Luigi Cremona, è un critico enogastronomico che, in pratica, non mangia. Fa degli assaggini come un uccellino malato. Lo chef Del Sesto, mio braccio destro del ristorante Là, lo conosce bene. Però si sa che quando dai una cosa a Luigi Cremona, che ha un palato diverso dagli altri, anche se è una briciola di qualcosa, quella briciola deve essere come si deve. Perché lui sa. Diversamente da tantissimi altri critici e non sto qui a fare i nomi. Posso raccontare solo che una volta un caporedattore romano di una rivista prestigiosissima era arrivato tardi al ristorante, era finito il pane, avevo solo il pane precotto, surgelato. L’ho preparato mettendo su erbette, rosmarino, ecc.. Lui nell’articolo scrisse: “andate, se non altro per il pane che fa Luotto”. Ed era il pane surgelato. Il livello della maggior parte dei critici è questo. Adesso mi odieranno tutti i critici. Però Luigi no.

-continua a leggere su IL SECOLO XIX  –

Libro 1

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