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Buongiorno cannibali, oggi lo spazio è dedicato a una scrittrice catanese Emanuela E. Abbadessa e alla sua bruciante short story…
Emanuela E. Abbadessa (perché poi nella bio tronca la E. che sta per Ersilia? È un nome bellissimo!!!), musicologa, scrittrice, giornalista, ha ideato e condotto programmi radiofonici e ha lavorato per anni nel campo della direzione artistica per l’Associazione Musicale Etnea. Ha collaborato con il Teatro Massimo di Catania. Si è occupata di comunicazione per l’Orchestra Sinfonica di Savona e l’Accademia Musicale di Savona. Insomma, donna piena di talento. Nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo Capo Scirocco – ed Rizzoli, vincitore del premio Rapallo-Carige per la Donna Scrittrice 2013; a febbraio 2016 è uscito, sempre per Rizzoli, Fiammetta vincitore del premio Dessì.
Emanuela E. Abbadessa
Racconto
Non dormiva da giorni e non solo a causa del caldo che le aveva tolto anche l’appetito. Non c’è un buon momento per chiudere una relazione, ma farlo a metà luglio con le vacanze già prenotate, era stata una pessima idea. Non sua, per altro.
Quella notte se ne stava affacciata, a cercare refrigerio in un ghiacciolo al limone. Ormai si nutriva solo di quelli. Ne aveva di tutti i gusti, ciascuno di un colore diverso.
Il cane della coppia al piano di sopra continuava ad abbaiare sul balcone. Avrebbe dovuto avvisare l’amministratore.
Quando si accorse della luce accesa nell’appartamento di fronte non pensò di poter essere vista e restò lì. Non si ritrasse nemmeno vedendolo spuntare nella cornice della finestra.
Lo osservò fumare e poi schiacciare il mozzicone con le dita per far cadere la brace nel vuoto.
Forse fu la mancanza di sonno, forse il caldo soffocante, perché Giulia non era il tipo che faceva questo genere di cose. Certo, il fotografo del terzo piano l’aveva sempre incuriosita. O forse aveva una voglia di vendicarsi di Marco, del suo sesso stanco e della fuga senza spiegazioni. Per questo si sfilò la maglietta scolorita degli AC/DC, andò in cucina e prese un ghiacciolo all’amarena. Tornò alla finestra a succhiarlo, fissando davanti a sé la sagoma dell’uomo. Con la lingua ne percorreva la lunghezza sentendolo sciogliersi, assottigliarsi dentro la bocca. Una goccia di succo le scivolò lungo il mento, la raccolse col polpastrello e se lo portò alla bocca assaporandolo lentamente.
Per cinque notti, andò alla finestra. Mangiava un ghiacciolo ripetendo il rituale senza credere davvero di voler sedurre il fotografo. Non era nemmeno sicura che lui la vedesse.
Una mattina inforcò i Ray-ban e uscì per rifornirsi di ghiaccioli.
Al ritorno, davanti alla porta di casa c’era un pacco. Sembrava un quadro ma non riusciva a immaginare da dove provenisse. Nessuna etichetta, nessun mittente. Lo prese e chiuse alle sue spalle la porta del suo appartamento.
Ripose la confezione di gelati e strappò la carta che avvolgeva il pacco.
Su uno sfondo nero, cinque ghiaccioli colorati, uno accanto all’altro, prendevano fuoco con fiammelle che illuminavano la fotografia. Nell’angolo solo una frase e una firma: A searing freshness. Francesco.
La prima domanda riguarda l’ispirazione al racconto, cioè la foto. Esiste davvero?
In giugno ero a Palazzo Ducale, a Genova, a un evento sul Food in cui erano esposte delle fotografie sul tema, uno dei due fotografi esposti era il pratese Francesco Vieri. Avevo già visto in rete alcuni suoi lavori e, dato il mio interesse per la fotografia, seguivo ciò che faceva. I suoi ghiaccioli in fiamme, A searing freshness, mi colpirono molto. Mi sembrava una splendida idea per uno still life sul cibo e mi complimentai. Non so come fu, ma scattò, imprevedibilmente per entrambi, la scintilla, d’altra parte cos’altro poteva succedere davanti a dei ghiaccioli che prendono fuoco? Così, nonostante fossimo entrambi single di lungo corso, da quel momento la nostra vita cambiò. Amore a prima vista… anzi, a primo ghiacciolo! Oggi siamo una coppia sia nella vita che nel lavoro. Il personaggio maschile del mio racconto è infatti ispirato a Francesco: mi è piaciuto pensarlo nel momento in cui crea la fotografia, magari spiato da una donna sola. Il contrasto poi tra caldo e freddo è, non solo in cucina, un elemento fortemente evocativo per me.
Accipicchia Ersilia, avrei dovuto inserire questo racconto nel post cibo-sesso! Ma non facciamoci turbare cannibali. Tornando a te in seconda battuta vorrei che mi parlassi della cucina siciliana, delle raffinatezze e influenze nei piatti siciliani che ami di più.
Amo follemente la cucina siciliana, una delle più ricche e gustose della già ricchissima tradizione italiana. Per me la cucina siciliana è l’odore della salsa nella cucina della nonna Ersilia, il suo polpettone al sugo, il biancomangiare, la sua crema di ricotta e, francamente, sono le cose che mi mancano di più della mia terra. Mi piace che sia una cucina contaminata dalle tradizioni dei popoli che sono stati in Sicilia, mi piace la fusione tra i sapori forti della terra e le spezie africane. E poi il pesce… com’è buono in Sicilia non è buono da nessun’altra parte. Ecco, l’ho detto.
Vai alla pagina dei Cannibali Vegetariani per leggere l’intervista a Emanuela E.Abbadessa
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